Insufficienza Venosa Cronica (IVC) e conservazione della safena
Il grado di insufficienza si sviluppa in 6 classi progressive che dalla teleangectasia (il “capillare” inestetico) giungono sino all’ulcerazione cutanea.2
Le “vene varicose” rappresentano la manifestazione di un quadro patologico noto come INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA degli arti inferiori. La malattia colpisce dal 7 al 40% degli uomini, dal 25 al 42% delle donne.1
Nel soggetto sano il sangue venoso scorre dai piedi verso il cuore, dalla superfice cutanea verso la profondità. In corso di Insufficienza Venosa Cronica le valvole che garantiscono il ritorno del sangue al cuore, contro la forza di gravità, perdono la loro funzione. Il sangue refluisce dunque nelle parti più declivi dell’arto, non riossigenandosi, aumentando la pressione venosa stessa e dilatando le varici. Ne consegue un aumento sensibile del rischio di trombosi venose e di ulcerazione cutanea. 3, 4
Al contrario di quanto generalmente creduto, non è però la safena (la vena più lunga dell’arto inferiore) ad esser patologica: lo sono piuttosto i rami tributari della safena stessa.5
Le attuali opzioni terapeutiche vengono divise in ablative o conservative. Tra le prime si annoverano l’asportazione della safena mediante chirurgia (stripping), laser, radiofrequenza, cianoacrilato, vaporizzazione o scleroterapia safenica. Tutte queste tecniche, più o meno moderne, sottendono però alla medesima strategia: l’ABLAZIONE SAFENICA. Al contrario, la STRATEGIA CONSERVATIVA, mediante varie tecniche mini-invasive, prevede la preservazione della safena, andando a deconnettere specifici punti di reflusso e sfruttando adeguate vie collaterali di drenaggio. La revisione ufficiale di tutta la letteratura scientifica sull’argomento ha dimostrato come la preservazione del tronco safenico, rispetto alla sua ablazione, si associ ad una significativa riduzione del rischio di una ricomparsa negli anni della medesima malattia.6